mercoledì 15 settembre 2010
Relazione della Corte dei Conti sull'ENI
Il "sorvegliato speciale" di Fini

del 15 settembre 2010
di Lanfranco Palazzolo
Gianfranco Fini e l’alleato “da sorvegliare”. Il Presidente della Camera Gianfranco Fini è sempre stato un uomo dal grande rigore morale. Alla fine dell’estate del 1992 l’allora segretario del Movimento sociale italiano Destra Nazionale partecipò alla festa Tricolore di Catania. La Sicilia era ancora scossa dai gravissimi attentati ai giudici Falcone e Borsellino. Il clima politico di quelle settimane era teso alla vigilia di una tornata elettorale importante. Nel corso del suo comizio a Catania, l’8 settembre del 1992, Gianfranco Fini sferrò un durissimo attacco alla Democrazia cristiana siciliana. All’indomani, il quotidiano “La Sicilia” riportò l’intervento di Gianfranco Fini affermando che il Governo in carica, si trattava dell’esecutivo guidato da Giuliano Amato, avrebbe dovuto “mettere in condizione di non nuocere: politici collusi con le cosche mafiose”. Lo stesso Fini affermava che vi erano uomini politici “da sorvegliare”. Ma chi erano questi uomini politici? Fini li elencava ai militanti del Msi: “Si tratta di esponenti politici regionali eletti all’Assemblea Regionale Siciliana e al centro di inchieste su scambi di favori e voti con esponenti mafiosi, su compravendite di posti di lavoro pubblici, su finanziamenti pubblici alle proprie campagne elettorali”. Nel suo intervento Fini elenco questi nomi: Raffaele Lombardo, Domenico Sodano, Biagio Sisinni, Giuseppe D’Agostino, Salvatore Lenza, Alfio Pulvirenti e Salvo Fleres. I passaggi dell’intervento di Gianfranco Fini sono riportati negli atti parlamentari (Doc. IV. N. 170°, presentato alla Presidenza della Camera il 26 maggio del 1993). Il 10 settembre del 1992, Gianfranco Fini presentò, come primo firmatario, un’interrogazione parlamentare a risposta scritta contro Raffaele Lombardo e gli altri esponenti politici “da sorvegliare”. L’atto di sindacato ispettivo era rivolto alla Presidenza del Consiglio, al ministro dell’Interno e a quello della Giustizia. In quei giorni Msi aveva scommesso sulle elezioni comunali di Catania, dove si votava per la prima volta con il sistema di elezione diretta del sindaco. Il testo dell’atto era durissimo: Fini chiedeva di “controllare l'operato dei numerosi esponenti politici regionali eletti all'ARS nella circoscrizione di Catania al centro di numerose inchieste su scambi di favore e voti con esponenti mafiosi, su compravendite di posti di lavoro pubblici, su finanziamenti pubblici alle proprie campagne elettorali, tra i quali Raffaele Lombardo (DC), Biagio Susinni (Movimento Repubblicano), Alfio Pulvirenti (PRI), Domenico Sudano (DC), Giuseppe D'Agostino (DC), Salvo Fleres (PRI), Salvatore Leanza (PSI) e quant'altri coinvolti in operazioni di dubbia liceità”. L’iniziativa non piacque ad uno dei parlamentari dell’Ars citati da Fini. Il 6 ottobre del 1992 l’onorevole Giuseppe D’Agostino presentò querela contro Fini per diffamazione a mezzo stampa. Il governo non rispose mai a quella interrogazione. E la Camera respinse la richiesta di autorizzazione a procedere contro Fini per diffamazione. Gli atti della denuncia furono restituiti all’autorità giudiziaria in quanto il caso rientrava nella fattispecie dell’articolo 68 della Costituzione. Allora nessuno avrebbe potuto immaginare che un giorno Gianfranco Fini e Raffaele Lombardo potessero scendere a patti dopo un atto di accusa così grave.
Il 11 giugno del 2009 è proprio Gianfranco Fini a tenere in vita politicamente Raffaele Lombardo, l’uomo politico “da sorvegliare”. Quel giorno il Presidente della Camera incontra Lombardo per cercare di mediare lo strappo tra l’Mpa e il Pdl allo scopo di evitare la caduta della Giunta regionale siciliana (“Il sole 24 Ore”, 11 giugno 2009). Ma quando la rottura con il Pdl in Sicilia diventa davvero insanabile, Lombardo vola dal Presidente della Camera a Montecitorio il 7 aprile del 2010. L’incontro, organizzato da Fabio Granata, termina con una calorosa stretta di mano tra i due. Una volta uscito dall’incontro con il suo ex accusatore politico, Lombardo è raggiante: “So bene che Fini non ha mai scoraggiato i suoi uomini a portare avanti il rapporto con me” (“Il Giornale di Sicilia” dell’8 aprile del 2010). Forse nessuno ancora glielo ha detto a Lombardo ma, visto che non lo faceva nessuno, ci ha pensato lui a sorvegliare Lombardo, ma per indebolire ancora di più Silvio Berlusconi…
Profumo di Libia

Intervista a Maurizio Fugatti
di Lanfranco Palazzolo
Unicredit non deve abbandonare il territorio in cui opera. Ecco perché siamo preoccupati per gli investimenti libici in quella banca. Lo ha detto alla Voce Repubblicana l’onorevole Maurizio Fugatti della Lega Nord.
Onorevole Fugatti, perché ha rivolto un’interrogazione al ministro dell’Economia per chiedere un chiarimento circa l’ingresso dei libici in Unicredit? Cosa è successo?
“La prima cosa che volevo sapere è se il capitale in mano ai libici, magari riconducibile ad un unico soggetto, supera il cinque per cento. Secondo lo statuto di Unicredit questo non potrebbe succedere. Anche se i soggetti libici che hanno acquisito le due quote per di Unicredit sono due (Banca di Libia il 4,98% e Libyan Investement Authority 2,075%) ho chiesto al Governo se il principio stabilito all’articolo 5 dello Statuto di Unicredit fosse stato rispettato. Questo è un problema di

Qualche mese fa avevate chiesto che la Lega entrasse nel Cda di alcune banche.
“Non vogliamo fare i banchieri. E non vogliamo mettere i nostri uomini nei Cda delle banche. Non siamo degli avvoltoio. I sindaci e i presidenti delle Regioni, anche quelli della Lega, influiscono molto nella scelta per le nomine ai vertici delle fondazioni. Però noi non vogliamo estromettere nessuno, ma diciamo che le banche non devono abbandonare l’attenzione per le imprese sul territorio e per le famiglie. Ecco perché abbiamo sempre guardato positivamente al modello delle casse di risparmio. Se nel Cda delle banche ci sono persone che condividono questo tipo di strategia per noi è un bene. Le grandi banche non devono pensare solo alla finanza internazionale. Ma guardare al bene del paese. Altrimenti, è meglio cambiare gli uomini nei Cda delle banche”.
Unicredit è la banca che ha fatto l’errore di guardare troppo alla finanza internazionale?
“Secondo noi ha commesso degli errori andando ad internazionalizzarsi troppo. Ora vogliamo capire le ragioni di questa apertura verso i libici affinché certi errori non si ripetano”.
I centristi si avvicinano

Voce Repubblicana del 15 settembre 2010
di Lanfranco Palazzolo
I centristi delle Marche si sono avvicinati al Popolo delle Libertà in queste settimane di polemica con i finiani. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” Francesco Casoli, Vicepresidente del gruppo del Popolo delle libertà al Senato.
Senatore Casoli, cosa pensa della situazione relativa alla maggioranza e ai numeri che servono al Governo?
“La sensazione che si vive, da parlamentare che vive sul territorio nelle Marche, è di profondo sconcerto da parte dei nostri militanti che si stanno chiedendo perché si è creata una frattura del genere con chi ha condiviso il programma elettorale con il quale ci eravamo presentati insieme agli elettori nel 2008. Per quanto riguarda il rapporto con Futuro e libertà penso che la politica sia mediazione. La politica ci insegna che è sempre necessario trovare una sintesi e cercare di aggregare. Per governare è necessario mettere insieme diverse anime e diverse idee. Sono convinto che riusciremo in questo intento con una parte del Fli o con tutta Futuro e libertà”.
Lei viene da una regione bianca come le Marche. I centristi di questa regione sono favorevoli ad un accordo con il Governo e l’area della maggioranza?
“Vengo proprio ora da una riunione con nostri sostenitori che vengono proprio dall’area centrista che dopo quanto è accaduto si sono riavvicinati al Popolo delle Libertà. La nostra regione è di tradizioni democristiane. Nella Prima Repubblica questa regione è stata sempre governata dalla Dc. I democristiani centristi sono preoccupati di questa rottura con i finiani perché hanno sempre pensato che Berlusconi fosse una garanzia per loro rispetto alla politica spregiudicata di Gianfranco Fini”.
Ci sono stati segnali di vita da parte dei finiani dopo l’ordine di Italo Bocchino di lasciare ogni incarico nel Pdl?
“Non mi risultano dimissioni importanti dal partito dopo quell’annuncio. Ci sono state delle prese di posizione da parte di alcuni personaggi che ricoprivano delle cariche organizzative nel Pdl. Ma non è successo nulla di grave. Tuttavia, nel caso di dimissioni di esponenti politici che si definiscono finiani non abbiamo nessun problema. I dimissionari saranno subito sostituiti con altri dirigenti più affidabili. Ma nelle Marche non abbiamo avuto grossi problemi”.
Pensa che Fini e Casini abbiano già raggiunto un accordo sottobanco in caso di elezioni anticipate?
“No, assolutamente no. Non credo che ci sia un accordo del genere. L’Udc si è molto avvicinata al Pd nelle Marche. In Regione ha trovato un accordo con il Pd. E questa situazione non è piaciuta in quel partito. Dopo la formazione di FLI molti esponenti dell’Udc si chiedono se non sia il caso di coprire questo vuoto politico con il sostegno al Pdl. Per molti esponenti dell’Udc questa è un’opportunità che li riporta verso un’area omogenea”.
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