Intervista ad Antonio Funiciello
Voce Repubblicana, 24 ottobre 2012
di Lanfranco Palazzolo
Il Partito democratico pensa ancora di
essere il depositario del credo comunista del vecchio Pci. Lo ha detto alla
“Voce Repubblicana” Antonio Funiciello, autore di “A vita. Come e perché nel
Partito democratico i figli non riescono ad uccidere i padri” (Donzelli
editore).
Antonio Funiciello, come è nata l’idea
di scrivere un saggio sul conflitto generazionale nell’area storica del Partito
democratico, partendo dal Pci?
“Il
mio è stato innanzitutto un lavoro genealogico. Io ho cercato di ricostruire il
momento storico nel quale si è costruita la classe dirigente del centrosinistra
nella seconda metà degli anni ’70. In quel periodo, il segretario del Partito
comunista italiano Enrico Berlinguer organizzò, in virtù di una linea politica
organizzativa, come quella del compromesso storico, promosse la formazione dei
giovani più in gamba nel partito. Si trattava di far diventare quei giovani la
nuova classe dirigente del futuro. Con quei giovani si pensava alla
realizzazione del compromesso storico. Il segretario del Pd Pierluigi Bersani
ha cominciato a far politica nella seconda metà degli anni ’70. La nuova linea
politica imponeva anche di scegliere un nuovo ceto politico. Nella prima parte
del libro mi occupo”.
La seconda parte del libro a quale tema
è stata dedicata?
“Alla
generazione dei 40enni. Ho cercato di capire come mai questa generazione non è
ancora arrivata ai vertici di questo partito e non esprimono un loro leader
politico”.
Lei accusa questi dirigenti di non
essere diventati a loro volta padri. Perché questo limite?
“Nel
libro ho cercato di fare un raffronto tra la situazione del Pd e quella del
Partito laburista. Oggi, il gruppo dirigente di questo partito è formato da
40enni. Questa generazione non ha lo stesso spazio nel Partito democratico. Il
problema del Pd è che oggi la sua organizzazione appare simile a quella di una
grande azienda italiana. Al vertice di questo partito c’è un patto di sindacato
grazie al quale vengono divise delle quote che vengono divise di volta in
volta. E ogni scelta viene attuata a salvaguardia di quel patto”.
Crede che Matteo Renzi riuscirà ad
imporsi nel Partito democratico “uccidendo” quei padri nobili del Pd che non lo
vogliono riconoscere oppure prevale la logica dell’infiltrato?
“Io
ho la percezione che Renzi sia considerato un infiltrato soprattutto perché non
ha avuto a che fare con il Pci. Le nuove regole per le primarie di quest’anno
hanno forse compromesso quello che sembrava davvero un confronto politico vero.
Quando nel 2006 ci fu lo stesso atteggiamento del Pd contro Amato, che fu
definito così: ‘Non è uno di noi’. Il problema di questo atteggiamento è che il
Pd è ancora il depositario del credo piccista
[del Pci], ma quel mondo lontano non esiste più”.
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