Voce Repubblicana, 4 ottobre 2013
Intervista a Claudio Del Bello
di Lanfranco Palazzolo
Il filosofo e saggista Guido Calogero si è sentito
spesso estraneo alla politica e alla cultura italiana. Lo ha detto alla “Voce” l'editore C del
Bello, che ha sempre tenuto vivo il ricordo dello studioso.
Claudio Del Bello, come ha conosciuto Calogero?
“Sono stato l'ultimo degli assistenti di Calogero. La
circostanza mi ha permesso di poterlo frequentare anche dopo la sua andata in
pensione ed avere con lui tutta la familiarità che volle concedermi”.
Lei ha partecipato ad uno dei pochi appuntamenti per
ricordare la figura di Guido Calogero. Perchè in questi appuntamenti echeggia
il termine “rimozione”?
Non sono state molte le occasioni per ricordare Guido Calogero in
questi 24 anni trascorsi dalla sua morte, avvenuta il 17 aprile 1986. D'altra
parte, il disagio è avvertito nel titolo dei convegni organizzati su Guido
Calogero. La commozione per questa rimozione è banale, e comunque è un fatto
privato, lo sdegno è impotente e ridicolo. Si tratta di una rimozione, plumbea,
ferrata, catafratta. Non casuale, però, dovuta alla calogeriana, profonda,
radicale estraneità, al genio italico, al genius loci, intendo, alla cultura
specificamente, autoreferenzialmente, orgogliosamente italica e, in
particolare, a certo storicismo. Perché, in ogni caso, estraneo gli era il
folklorico e il vernacolare, il particulare. Il combinato disposto di questa
rimozione, in compenso, ha comportato che il suo pensiero non sia stato
appropriato, gestito, manipolato, falsificato, aggiustato, ridotto a scuola. Il
che rappresenta l'unico, ma consolante aspetto”.
Cosa ricorda del Calogero giornalista?
“I suo articoli su “Il Mondo”, “l'Espresso”, e anche gli articoli
“leggeri” che apparivano nella sua rubrica su “Panorama; ne ricordo uno: “Il
pollo si mangia con le mani”, incantevole – dando inoltre conto della sapida
aneddotica, quasi sempre affettuosa e corriva”.
Come definirebbe l'impegno politico di Calogero?
“Non era un giacobino, Calogero. Alessandro Galante Garrone si
definiva 'il mite giacobino'. A Calogero non piacevano le forzature della
politica, amava la cogenza del pensiero, la forza dei principii. Di più, il suo
ideale non era la 'République', ma semmai la costituzione statunitense. Da
questo punto di vista, non era giacobino, e nemmeno mite. Sempre pronto alla
discussione. Anche animata – considerava lecito il dissenso, non l'oltraggio,
come sostiene in un suo articolo. Questa circostanza lo ha reso ancora più
estraneo alla politica e alla cultura italiana”.
Pensa che Calogero abbia pagato il suo impegno azionista?
“Questo sarcasmo contro il Pd'a si è perpetuato per cinquant'anni.
Ancora qualche anno fa Massimo D'Alema se la prendeva con 'la cultura azionista
[che] non ha mai fatto bene al paese'. Questa supponenza mi ha sempre dato
fastidio”.